E’ una notte triste al bivacco. Questo freddo porta con se una notizia che è dura da mandare giù anche con il miglior whisky.
Hubert Auriol ci ha lasciati…………
Vorrei raccontarvi tante cose di lui, un personaggio che ha scritto di suo pugno la storia dei rally raid e in particolare della Paris-Dakar. Hubert Auriol, nato ad Addis Abeba il 7 giugno del 1952 ma cresciuto in Francia, veniva chiamato “l’africano” non solo perché nato in Etiopia. Quel soprannome se l’era guadagnato sul campo, lui e l’Africa sono sempre stati legati a filo stretto e quello che ci ha lasciato in ambito Rally Raid ne è l’espressione più bella, il suo palmarès sarebbe più lungo di questo modesto articolo. L’Africa la sua casa, la Paris-Dakar il palcoscenico che lo vede protagonista sin dal 1979 con una YAMAHA XT 500, vincitore su BMW G/S nel 1988 e 1989 e nel 1992 su Mitsubishi, divenendo il primo pilota a fare la storia del rally vincendolo sia in moto che in auto. Successivamente divenne il direttore generale della Paris-Dakar dove figurò bene anche da manager e quando la corsa si spostò in Sudamerica si dedicò alla creazione di un altro rally raid che onora la sua Africa dal 2008: l’Africa Eco Race.
Uno degli episodi più noti e ormai entrati nella leggenda, lo vede in sella ad una Cagiva nel 1987 alla fine di una Paris-Dakar combattuta faticosamente con Cyril Neveu (quello che ha vinto la prima Dakar, non certo un osso tenero) in testa e con un discreto vantaggio. A circa 20 km dal traguardo sono le sue di ossa a cedere, a causa dell’impatto con delle radici di un albero fuori pista. Un equipaggio in auto lo trova esamine e con le caviglie distrutte. Si fa rimettere in moto e percorre quegli ultimi 20 km con le caviglie rotte cercando di controllare la moto, arrivando al traguardo piangendo dal dolore. Avrebbe potuto chiedere i soccorsi sul posto e ritirarsi, ma finire la tappa per lui valeva più di tutto perché, potè dire ai giornalisti italiani di avvisare il suo Team Manager e i dipendenti Cagiva: “abbiamo battuto la Honda”. Conquistò una vittoria simbolica che ancora oggi rappresenta il suo stile. E Monsieur l’Africain di stile ne aveva da vendere. Fisico, portamento e sorriso avrebbero potuto fare di lui un attore, si diceva fosse troppo bello per essere un pilota da raid africani. Lo rivedo scendere dalla moto all’arrivo di una tappa, sporco e spettinato mentre si toglie il casco e sorride nonostante tutto. Nessuno spot avrebbe potuto fare meglio in quegli anni. E invece lui oltre che bello era anche fortissimo e ci lascia con la signorilità di un campione genuino dal sorriso gentile.
Grazie Hubert. Purtroppo il tuo roadbook ti ha già portato a fine tappa, ma le tue tracce sono ben visibili e quelli come me le seguiranno ancora per molto tempo.
Buona strada, dovunque stiate andando.
Rad Sherpa
Foto da; Google.com “Immagini”