Due chiacchiere in Rock……

Tutto è cominciato quando l’Amico Biagio , un bel giorno, mi scrisse che avrebbe avuto piacere di pubblicare un mio pensiero sul suo blog, ovviamente a carattere musicale, perché io, ahimé, non sono un grande meccanico, ma sicuramente dal punto di vista delle sette note posso dire la mia.

Tra le tante cose che condividiamo una in particolare ci accomuna: l’amore per il Blues, e così ne approfitto per coronare uno dei miei sogni, cioè tributare a dovere un’icona della Musica di ogni tempo e ogni dove, Mr. JOHN WELDON “JJ” CALE, a mio avviso il più Grande Bluesman di tutti i tempi (anche se qualcuno non condividerà, pazienza…).

Ovviamente non mi dilungherò in una lunga ed inutile biografia, anche perché su JJ ormai è stato scritto di tutto e di più, approfitto però di questo spazio per esprimere qualcosa di personale.

Ho sempre ammirato tantissimo la sobrietà dell’uomo e del musicista, essenziale, mai sopra le righe, quasi sconosciuto, se pensiamo che la maggior parte dei fruitori di musica NON SA che 3 dei brani che hanno fatto la Storia della Musica e che sono stati portati al successo commerciale da altri artisti (Cocaine, After Midnight, Call me the breeze) portano la firma del Bluesman di Oklahoma City.

Ed è proprio una circostanza relativa a due di questi brani che io e Biagio non manchiamo mai di ricordare nelle nostre disquisizioni musicali nelle serate al bar sorseggiando una birra: l’evento è “Crossroads 2004” una kermesse musicale organizzata ogni 3 anni da Eric Clapton (allievo di JJ a cui deve una riconoscenza infinita…) che vede il susseguirsi di una miriade di artisti della 6 corde a favore del centro di riabilitazione dalle droghe di Antigua fondato dallo stesso Clapton, in passato vittima anch’esso di dipendenze varie (alcool, eroina…). Ad un certo punto salgono sul palco JJ, la moglie che lo accompagna con l’acustica, Eric e gli altri elementi del gruppo di Cale, il primo brano è After Midnight, JJ si avvicina timidamente al microfono, si gira verso Eric, gli fa segno con la testa di cantare…Eric rifiuta sorridendo, la moglie ride divertita, JJ parte ed il primo assolo è il suo, senza plettro, tre note in croce grondanti groove… a volte pare pure stentato, sicuramente non il massimo della tecnica, ma chissenefrega, quando il tocco è ASSOLUTAMENTE INCONFONDIBILE… poi, una battuta prima della fine del suo solo, si rivolge ad Eric e lo invita a continuare con un cenno del capo facendosi da parte, dimostrando una grande umiltà, quasi come a presentare la vera star dell’evento che concluderà a modo suo e col suo inconfondibile sound ciò che il Maestro aveva iniziato.

Tutte le volte che ci penso, che lo vedo, mi vengono i brividi ed un po’ mi commuovo pure, perché il Maestro ci ha lasciato qualche anno fa in una calda estate californiana, e tutti noi, amanti della vera MUSICA, da allora siamo molto più poveri.

Beps 1966

Buon Ascolto; Video da YouTube

 

Il Futuro di Benjamin ……

Nato a North Kensington Inghilterra nel giugno 1906, Benjamin Bowden è stato uno dei designer industriali inglesi più influenti del “900. Con un corso di ingegneria al Regent Street Polytechnic,  Benjiamin ha dato un contributo importante alla produzione automobilistica del dopoguerra portando grande Innovazione nelle linee e nelle meccaniche, basti ricordare la Healey Elliot disegnata dallo stesso Benjamin e prima auto Inglese a superare le 100 Mp/h.

Ma in questa rubrica vorrei parlarvi di un’ altro progetto di Benjamin che forse a distanza di 70 anni rende giustizia al suo talento e al suo immaginario. Il progetto porta il nome di Bowden Spacelander  e vede una bicicletta dal design futuristico, siamo nel 1946 e il sogno di Benjamin era di supportare la sua nazione con prodotti di innovazione da esportare nel mondo. La Bowden Spacelander  oltre alla sua linea fluida mix tra liberty e aeronautica da prodursi nel nobil metallo che è l’ alluminio, ha un “segreto” nel mozzo posteriore. In effetti è all’ interno di questo che si trova una motore elettrico che funge anche da dinamo in grado di ricaricare le batterie nascoste nel telaio così come i cablaggi. E proprio da queste batterie che il motore elettrico prende forza per supportare il ciclista nelle salite con il risultato di raggiungere le 5 Mp/h su una pendenza del 10%.

Alla presentazione tenutasi durante la mostra del 1946 “Britain Can Make It”, Benjamin riscuote molto successo e l’ entusiasmo misto a incredulità dei visitatori fa ben sperare. Purtroppo proprio a causa della sua anticipazione, i costruttori di biciclette non diedero seguito a questo investimento che “atterò” ancor prima di “decollare”. Trasferitosi in sud Africa, Benjamin pensa di produrre le sue Bowden Spacelander supportato anche dal’ interesse dello stato Africano che fornendo capitali economici permise a Benjamin di acquistare attrezzature provenienti dall’ Inghilterra. Ma il destino affrontò nuovamente Benjamin e una crisi politica mise un blocco alle importazione che fecero naufragare nuovamente il progetto compreso la perdita del’ ultimo e unico prototipo disponibile.

A metà degli anni ’50, Benjamin si trasferisce nel Michigan “Stati Uniti” e un incontro con Joe Kaskie della Morrell Corporation le diede nuova forza per il progetto della Bowden Spacelander. Società specializzata in stampati di fibra di vetro propone una versione più economica della bicicletta alla quale viene tolta la parte elettrica a favore del classico corona-pignone. Venduta in cinque colori a partire dal 1960, la bicicletta di Benjamin aveva un costo di circa 90 dollari che la rendeva una tra le biciclette più costose di quel periodo. Forse il tentativo di rendere per tutti un oggetto per pochi hanno portato il finale a questo splendido e geniale progetto. Con una produzione di qualche centinaio di Spacelander che risultavano costose e fragili, termina il sogno di  Benjamin Bowden. Ceduti i diritti del progetto negli anni 80, pochi prototipi sono stati in seguito prodotti e i costi delle prime produzioni in alluminio hanno raggiunto cifre incredibili battute dalle aste più prestigiose.

Sicuramente non era l’ intento di Benjamin correre alla speculazione dei pochi esemplari rimasti, ma la storia insegna che quando i Geni Visionari corrono molto velocemente spesso non incontrano successo e quando l’ Arte è per tutti non è più la stessa. Morto nel 1998 al’ età di 91 anni a Lake Worth in Florida, Benjamin rimane comunque uno dei designer industriali più influenti del “900 con contributi alle auto come Chevrolet Corvette e Ford Thunderbird ma quelle sono altre storie………

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Foto da; Google.it