6:15………..

6:15…suona la sveglia, propio quella sveglia che per colpa sua ti ha fatto passare la notte in bianco, tra agitazione, paura e un insieme di emozioni difficili da descrivere.
Fai “colazione”, costituita da una (forse metà) fetta biscotta, dato che quella agitazione che ti ha tenuto compagnia tutta notte non accenna a lasciarti…
Ti infili nella tuta…quella tuta stretta che ora sembra stringere ancora di più lasciandoti senza fiato e facendo aumentare i battiti del tuo cuore.
Finisci di preparare l’occorrente per quella che è per te è una sfida che va ben oltre le tue possibilità.
Ti metti in sella, con quel clima rigido delle 6 di mattina che solo un posto unico come le Dolomiti riescono a regalarti. La prima pedalata è quella che ti fa realizzare che ormai non puoi più tirarti indietro…. il vento gelido ti penetra negli occhi che iniziano subito a lacrimarti, le gambe ancora addormentate iniziano a far scorrere il sangue al loro interno. Attraversando il paese ti senti come se fossi l’unico sopravvissuto dopo un apocalisse…..nessuno per strada, nessun rumore, nessun odore…è tutto fermo, come se fosse stato congelato. Tutto tranne te, che inizi con i primi ansimi che ti fanno spezzare il fiato mattutino.
Lasciando il paese desolato alle spalle, ti imbatti in un cartello, quel cartello che non ti aveva mai fatto tanta paura leggere come in quell’istante.
Annuncia….“Passo Sella”, bene ora sai che inizia la salita.
Parti subito mettendo un rapporto più “morbido” adeguato alla salita, ma ti accorgi che la variazione di pendenza è talmente repentina che un solo rapporto non ti basta…ok, metti il secondo e sembra già andare meglio.
Con la coda dell’occhio guardi nel pacco pignoni posteriore e noti che hai soltanto altri tre rapporti, il che vuol dire che non ci sono spazi per gli errori ma soprattutto non c’è spazio per cedere mentalmente, a qualsiasi costo.
Arrivi al primo tornante, che ti fa capire subito in quali condizioni arriverai (forse) a destinazione.
Da ora parte quella che sarà 1 ora e 15 minuti di pura fatica, con momenti di quasi cedimento fisico, soprattutto per le tue gambe che chiedono solamente di potersi fermare e riposare.
Provi a pensare ad altro mentre pedali, in modo da non sentire la stanchezza, ma…. è una cosa quasi impossibile dato che intorno a te c’è solo silenzio.
Gli unici rumori che senti sono i tuoi respiri e nient’altro, questo rende la cosa ancora più unica, perché ti senti a stretto contatto con l’immensità che è la montagna. Dentro di te senti che devi portarle rispetto, perché se lei vuole, può benissimo non farti arrivare in cima alla tua scalata.
Dopo km di fatica ti imbatti negli ultimi tornanti, li affronti con un misto di emozione, adrenalina, sfinimento e una felicità che a parole non si può descrivere…
3…2…1…sei arrivato in cima e non sai se ridere, metterti a piangere o semplicemente fermarti e ammirare lo spettacolo che hai di fronte agli occhi.
Credo non basti qualche parola scritta nel modo giusto per descrivere l’uragano di emozioni che ti regala una scalata del genere, ma ci provo.
Per quelli che invece l’hanno fatto…beh…sapete già tutto.
Ranger “98………….
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Foto di; Roberto Longo

Da Radio-Bivacco “10

CICATRICI
Qualcuno ha scritto che “due ruote muovono l’anima”. Io dal canto mio non potrei vivere senza e spesso mi ritrovo a reinterpretare questa massima anche a pedali. Così, durante una calda pedalata estiva nel mio Salento, mi ritrovo a pensare a viaggi in terre lontane, sognare avventure estreme
alla scoperta di territori selvaggi, proprio come mi succedeva da bambino: potere delle due ruote! Sarà il caldo o l’allenamento scarso chissà…..ad un certo punto alzo lo sguardo e mi ritrovo nella savana africana. O almeno così sembra. La terra rosso intenso e le sterpaglie giallo ocra si alternano a pochi cespugli verde scuro. Pedalo perso nei miei pensieri in un’atmosfera surreale, in totale solitudine come non mi succedeva da tempo e mentre mi guardo attorno osservo i tantissimi alberi che mi circondano. Non sono Baobab come sembra, queste maestose piante davanti a me non sono i famosi alberi africani…ma ulivi!
Improvvisamente la ferita brucia. Avevo già visto gli uliveti del Salento distrutti dal batterio “Xylella”, ma questa volta il colpo è più duro. Non posso continuare, mi fermo, mi guardo intorno spaesato…immerso in questo paesaggio per me dolorosissimo che ha perso i suoi connotati. Gli
ulivi del Salento, quel mare verde-argento che caratterizzava l’entroterra peninsulare, non c’è più. E’ l’elaborazione di un lutto, una pedalata espiatoria. Proseguo tra questi fieri giganti vecchi di
secoli ormai secchi e sconfitti da un batterio per cui nessuno ha la cura, mi perdo in questo cimitero senza confini. Ogni albero è una cicatrice sulla terra rossa. La mia avventura continua, pedalata dopo pedalata, tra gli ulivi e in lontananza vedo un pastore col suo gregge. Mi avvicino e scambio due chiacchiere con lui mentre il suo cane bada alle pecore. L’uomo non è certamente un tipo loquace, c’era da aspettarselo, ma si illumina quando gli parlo degli ulivi. Mi spiega che c’è una specie di pianta, il “Leccino” che resiste al batterio e che in tanti hanno già iniziato a piantare nuovi alberi, nella speranza di ripopolare il territorio. Ci vorrà tempo e passione ma una speranza c’è! Quell’uomo mi ha dato un sollievo che non immagina, la naturalezza con cui mi ha detto che si sta ricominciando a coltivare nuove piante di ulivo mi ha ricordato da dove vengo: una terra protesa nel mare ma con radici forti e profonde, con un passato glorioso come i suoi ulivi che non ci sono più e un futuro da coltivare come gli ulivi nuovi. Sono fiducioso che i salentini sapranno farsi valere, nella loro storia hanno dato prova di grande generosità. Saluto e proseguo su questa pietraia…non è l’Assekrem ma mi ha fatto sognare e soffrire lo stesso, come ogni pedalata che si rispetti.
Buona strada, dovunque stiate andando.
Rad Sherpa
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Foto di; Rad Sherpa