Da Radio-Bivacco “6

C’è una particolare tonalità di colore della sabbia da cui sono sempre stato molto attratto, è un tipo di arancio che si vede soprattutto nel Ténéré. Un colore caldo e acceso che mi suscita immediatamente allegria e senso di evasione. Un uomo geniale decise di verniciare di quel colore un’auto. Anzi fece di più: diede un nome a quel colore, “orange Ténéré” appunto, che utilizzò su tutta una linea di auto. Erano Citroën e parliamo degli anni 70. L’uomo geniale era  Jacques Wolgensinger, uomo comunicazione della Citroën dal ’58 al ’87 e in trent’anni ha rivoluzionato il modo di fare promozione nel mondo dell’auto e non solo. Il lancio di ogni nuovo modello diventava un evento. Per la mitica Mehari convocò la conferenza stampa in un campo da golf dove i giornalisti trovarono le auto presentate in una decina di coreografie differenti e altrettante modelle in costume da bagno…fu un successo. Era iniziato un modo nuovo di interpretare l’automotive.

La consacrazione arriva con un’altra idea rivoluzionaria: i raid a scopo promozionale. Wolgensinger  era andato al di là del vendere auto, al di là del marketing, al di la delle aspettative del cliente. Lanciò un appello ai giovani, agli avventurieri e ai sognatori di quegli anni 70 in cui tutto sembrava possibile e li coinvolse in una serie di avventure attraverso il mondo, con auto semplici ed economiche: Paris-Kaboul-Paris 1970, Paris-Persepolis-Paris 1971, Raid Afrique 1973 vere e proprie prove di forza durante le quali le piccole Citroen (Mehari, 2 Cavalli e Dyane) dimostrarono le loro grandi qualità, versatilità e robustezza in primis. Si cominciava a fare le cose in grande….pensiamo che si era ancora lontani dalla nascita di grandi rally raid come la Paris Dakar, ma il seme era stato piantato. Il mio preferito è il Raid Afrique del 1973: 92 giovani uomini e giovani donne di età compresa tra i 18 e i 30 anni affrontarono un viaggio di 8000 Km che li portò dalla Costa d’ Avorio alla Tunisia attraverso parte del TèNèrè e l’ Haggar. Il convoglio trasportato via mare da Le Havre ad Abidjan, composto da 50 Citroën tra “2CV” e Dyane, prese la pista il 29 Ottobre 1973 accompagnato da 8 camion assistenza Berliet L64  4×4 e da un aereo Piper in comunicazione radio con i camion e l’auto del leader della spedizione.

L’idea che si potessero fare grandi raid con piccole auto fu vincente e dimostrò sul campo la qualità dei veicoli messi alla prova, che si dimostrarono molto robusti. In un’epoca dove non c’erano droni a filmarti dall’alto o action cam ad esaltare l’azione si creò un tipo di comunicazione basata sull’esperienza reale tramandata quasi oralmente, come una leggenda da raccontare intorno al fuoco la sera in uno dei nostri bivacchi. Wolgen, come lo chiamavano gli amici, negli anni successivi produsse molti documentari, che gli valsero parecchi premi al Festival del Cinema d’Impresa di Biarritz e fu direttore di “Le Double Chevron”, l’house organ di Citroën. Il vulcanico personaggio ha lasciato un’impronta di stile che ha contribuito a creare il mito delle piccole e inarrestabili Citroën, che molti giovani di allora ancora oggi guidano con entusiasmo per le strade (preferibilmente accidentate) di un mondo dai colori vivaci.

Buona strada,  dovunque stiate andando.

Rad Sherpa

Foto dal web; Google.com

 

Killinger und Freund By Criag….

Ricordate “L’Arte di Criag (Maggio 2018)”??? ……… Beh il suo talento continua a creare Arte in movimento e le richieste di queste opere è in aumento. In questi giorni la sua ultima creazione ha fatto capolino nel web e anche se le immagini parlano da sole, voglio aggiungere qualche dettaglio e condividerlo con gli Amici del Bears Garage. Partiamo dai protagonisti di questo progetto, torna il nome di Bobby Haas del’ Haas Moto Museum “Dallas-Tx” già committente del progetto 2018 e del Maestro Craig Rodsmith, Australiano di origine ma ora Statunitense dalle mani d’ oro e dalla genialità di uno scultore di Art Dèco.

La base per questa opera arriva dalla Beviera con produzione degli anni “30, una moto singolare dalla peculiarità motoristica che prevede motore e trazione all’ interno della ruota anteriore. Sicuramente una difficoltà tecnica importante visto l’ impossibilità di trovare pezzi di ricambio di una moto che fu poco più di un prototipo e basse unità prodotte. Ma Criag fa di questa difficoltà una sfida e “risolve “ a modo suo inserendo tre gruppi termici provenienti da tre motori 60 c.c. uniti in un basamento Home Made di Criag. Ed ecco che tra decine di tubi in rame e metri di catena la Killinger ha un nuovo propulsore da 180 centimetri cubici dentro l imponente ruota anteriore.

Risolto problemi di cerchi e gomme, l’ opera ha bisogno di un vestito nuovo e qui…..la maestria di Criag viene fuori con una quantità di alluminio piegato, battuto e lucidato che rende questa moto un’ opera elegante e dinamica come un fluido lanciato ad alta velocità. Telaio, Carenatura, Ruote, Fanale,  Sella e Comandi tutto  metallo nobile Allu-1050A “Nd”. Dal taglio alla piega e saldatura, viene eseguito tutto a mano con utensili “Old Skool” senza supporto 3D o macchinari a controllo numerico. Le mani di Criag lavorano per ore e ore sulle lastre di alluminio che una volta lucidato sembra far parte di un blocco solo.

Consegnata a Bobby Hass la Killinger di Criag entra a pieno tra le più belle opere d’ Arte in movimento che dopo alcune kermesse espositive raggiungerà le sue simili nel Museo Haas Moto www.haasmotomuseum.com. A noi rimangono queste belle immagini di Grant Schwingle e l’ attesa della prossima opera d’ Arte in movimento.

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Foto di; Grant Schwingle  “www.facebook.com”

Foto da; http://www.bikeexif.com/

61 tronchi per John…….

Se è vero che in architettura il minimal può emozionare, questo progetto del Londinese  John Pawson ne è la conferma. Commissionato dalla Fondazione Siegfried e Elfriede Denzel, sito nei pressi di Unterliezheim “Baviera” è collocato lungo una pista ciclabile ed ha lo scopo di accogliere i “Pellegrini” delle due ruote. Una cappella realizzata con 61 tronchi di abete Douglas forniti a Jhon dalla Danese “Dinesen” società con la quale collabora da oltre due decenni. Osservando i dettagli di questo spazio è evidente che il riposo che può offrire ai ciclisti è più emotivo spirituale che non atto al confort, ma entriamo nei dettagli……

John ha previsto 61 tronchi lunghi oltre otto metri, semplicemente sfaccettati per garantire una solida catasta come se fossero ai bordi del bosco a stagionare. Osservando le testate, la catasta sembra essere compatta ed invece al suo interno uno spazio stretto e altissimo fornisce riparo ai visitatori che possono “godere” di una panca in cemento in blocco unico con la piattaforma sulla quale la pila è posata. Proprio come le tecniche di stagionatura, verso il colmo alcune aperture garantiscono il ricircolo del’ aria ed evitano lo stagnare del’ umidità. Una finestra intagliata nei tronchi regala una vista sulla vallata offendo un senso di mimetismo perfetto, mentre una sottile croce in vetro giallo opera di Franz Mayer di Monaco, lascia spazio alla spiritualità personale senza collegamenti particolari. Con foto di Eckhart Matthäus e il contributo degli associati di John Pawson Design team: Jan Hobel, Eleni Koryzi e Max Gleeson, la cappella non prevede orari di apertura e sarà una buona scusa per visitare la Baviera “rigorosamente in bicicletta”…………

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Foto di; Eckhart Matthäus   www.em-foto.de

 

 

LIVE AID……….L’ evento

Ricordo tutto come se fosse passata solo qualche settimana, avevo da poco finito l’esame di maturità ed ero in attesa di sapere dove mi avrebbero spedito a fare il militare, è un primo pomeriggio di un afoso giorno di luglio, accendo il televisore e su RAI1 vedo che stanno suonando, c’è un concerto dal vivo, sono gli Status Quo, riconosco anche la venue… siamo a Wembley! Sempre più incuriosito cerco qualche informazione chiamando alcuni miei amici (siamo lontani dai tempi di internet…), ebbene sembra che due personaggi di spicco del pop rock anni 80, Bob Geldolf dei Boomtown Rats e Midge Ure degli Ultravox, abbiano organizzato questa mega kermesse musicale a scopo benefico, “Feed the World” dice il manifesto, si tratta di sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere fondi per le popolazioni povere del centro Africa, figlio – e degna conclusione – dei progetti “Band Aid” e “ USA for Africa”.

E fu così che il 13 luglio 1985 mi ritrovai quasi per caso ad assistere a quello che sarebbe diventato uno degli eventi musicali più importanti del ventesimo secolo: il Live Aid! Figlio dei grandi raduni di fine anni 60 (Woodstock, Isola di Wight, Monterrey…) bruscamente interrotti all’alba della disfatta di Altamont (per i più “distratti”: durante il concerto degli Stones gli Hells Angels, incautamente assoldati come Security dell’evento, accoltellarono a morte uno spettatore e si resero responsabili di altri eccessi), magistralmente organizzato – con 2 palchi a Londra e Philadelphia, decine di artisti tra i più rappresentativi dell’epoca (pochi mancarono l’appuntamento), una diretta televisiva che iniziò alle 12 ora di Londra (13 per noi) e si concluse quando, alle 22 ora di Philadelphia (le 4 di notte del giorno dopo per noi) Bob Dylan, Ron Wood e Keith Richards salutarono tutti con un leggendario mini set acustico – il Live Aid finì per diventare di gran lunga l’evento musicale più importante a cui il sottoscritto – purtroppo non direttamente – ha assistito, considerando che difficilmente, dato il declino musicale a cui abbiamo assistito dalla metà dei ’90 ad oggi, qualcosa di così magico potrà mai essere replicato.

Un veloce passaparola ed ecco che, assieme agli amici più cari dell’epoca, ci ritroviamo a condividere questo rito: assistiamo alle esibizioni di David Bowie (pazzesco…), U2, Eric Clapton, Sting, Tina Turner, Dire Straits, Queen (esibizione leggendaria, sancì la loro rinascita dopo alcuni anni difficili), Simple Minds, Elton John, Tom Petty, Black Sabbath, Bryan Adams, The Who (mostruosi, forse la miglior esibizione della giornata…) Elvis Costello, Ultravox, Phil Collins (che suona prima a Londra poi a Philadelphia grazie ad un volo appositamente organizzato) Paul Young, Inxs e tanti, tantissimi altri artisti di fama mondiale.

E per noi, che eravamo nati ascoltandoli e consumando i loro dischi e i loro live, vedere alle 2 di notte salire sul palco di Philadelphia i Led Zeppelin fu un’emozione pazzesca, che ricordiamo tutt’ora quando davanti ad una birra ci lasciamo prendere dalle nostalgie del tempo che fu. L’unico rimpianto fu di non averli visti al completo (Bonzo era morto 5 anni prima), Phil Collins e Tony Thompson si dannarono l’anima per rimpiazzarlo a dovere ma – con tutto il bene che voglio a Phil (che adoro) ed al povero Tony – come si suol dire: “in 2 non ne fanno uno”: John Bonham sarà per sempre il più grande, unico ed insostituibile.

È davvero difficile per me tentare di spiegare le emozioni che provammo quel giorno, era tutto “giusto”: giusto il periodo storico, giusta l’età che avevamo, e immediata fu la consapevolezza di aver assistito ad un qualcosa di magico ed irripetibile, che ci cambiò, ci migliorò, e personalmente mi diede la consapevolezza che la strada che avevo intrapreso, il fatto di vivere di musica e per la musica, fosse quella giusta.

Scrivo queste due righe per il blog dell’amico Biagio, il Bear’s Garage, perché aldilà dell’amicizia che ci lega, conoscendolo e sapendo che anche lui vive di emozioni e di passioni, posso essere certo di aver affidato nelle giuste mani questo piccolo tesoro che da sempre custodisco gelosamente nel cassetto dei miei ricordi.

Beps 1966

Foto da; www.google.com