il Blues e Calvin Russell………

Sulle origini del Blues, sono molte le attribuzioni ma una cosa sulla quale nessuno ha dubbi è lo stato sociale di chi lo ha generato, suonato e vissuto. Il Blues è forse la più forte musica “work song” della storia e non racconta certo di manager in carriera o di ricchi del petrolio. Il Blues trova culla nei campi aridi del sud, nei porti del golfo e nelle zone di costruzione urbane in gran fermento dopo la guerra di secessione. Momenti difficili dunque e momenti ove anime distrutte cercano speranza e coltivano sogni.

Calvin Russell, indimenticato artista Texano nato ad Austin Tx nel novembre del “48, famiglia povera e numerosa con nove figli difficili da seguire per due genitori sempre al lavoro. Con poche possibilità e una vita davanti da inventarsi, Calvin lascia la famiglia a 15 anni puntando i suoi stivali verso nord-ovest  “San Fransisco” con la speranza o forse illusione di avere successo con la musica. Purtroppo tra sogni e realtà gli ostacoli sono tanti e Calvin torna in Texas accontentandosi di suonare con il gruppo “The Cavemen” nei piccoli locali dello stato rurale.

Con il problema dei soldi che lo perseguita, Calvin inizia a spacciare droga e le porte del carcere si aprono con facilità in un Texas tutt’ altro che tollerante. Un calvario che lo accompagnerà per anni anche quando tenta la fortuna a sud, in Messico ove viene arrestato nuovamente. Tornato in Texas le cattive compagnie sembrano essere le uniche come i penitenziari che le fanno da casa. Una vita che lo segna dentro e fuori ma che lo lega fortemente al’ unica cosa che ha dentro Il Blues.

Mentre sconta una pena in galera, scrive e registra una ventina di brani che vorrebbe presentare al musicista Charlie Sexton, le coincidenze portano Calvin a contatto di Patrick Mathe proprietario della New Rose Records che decide di scritturarlo.

Non credo nella leggenda attribuita ad un artista talentuoso e unico, i suoi brani sono “Duri, Forti e Urlano” un disagio sociale anche se hanno un fascino sentito poche volte nella musica. Credo che la vita dannata di Calvin lo abbia reso un vero Bluesman che ha tatuato sul volto e sulla pelle la storia di una vita difficile e vera come quella di molte, troppe persone che vivono il Blues come condizione di vita e non come forma d’ arte musicale.

A metà degli anni 2000, Calvin raccoglie un successo che forse non si aspettava più, dopo una vita di schiaffi dalla società, arriva anche in Europa dove un pubblico attento ha potuto ammirarlo in Francia e anche in Italia. Ma un destino che di fatto non lo ha mai lasciato, lo porta via a 63 anni il 3 aprile 2011 dopo una breve malattia, mentre le sue ballate rimangono a testimonianza di cosa sia il Blues e di chi è stato Calvin Russell

Bear”34

Calvin Russell; Austin 1 Nov 1948 // Garfield 3 Apr.2011

R.I.P.

Video da; YouTube

DB4 Zagato, la più bella………..

1961 Aston Martin DB4 GT Zagato Coupe

E’ nella cittadina di Gaydon UK che nascono le Aston Martin e questa è “la più bella”. Non voglio certo stilare una classifica in quanto le Aston Martin sono tutte splendide ma………… questo era l’obbiettivo che la dirigenza inglese si era prefissato nel lontano 1960. Per raggiungerlo unirono le forze con il carrozziere Italiano Ugo Zagato che affidò il progetto al’ Ing. Ercole Spada, in quegli anni nello staff della carrozzeria Milanese. La DB4 GT Zagato prevedeva la base delle DB4 GT, gran turismo con motore da 3,7 litri e monoblocco in alluminio che erogava oltre 300 cavalli in grado di spingere tramite la trasmissione a quattro rapporti la splendida “Inglesina” a 250 chilometri orari.  La produzione limitata prevedeva 29 esemplari ma dal 1960 al 63 ne vennero prodotte solamente 19, riducendo di dieci unità una già modesta produzione.

Alla produzione DB4 Zagato originale seguirono due serie realizzate qualche anno dopo, sempre in tandem “Aston Martin_Zagato” siglate Sanction II nel 1991, Sanction III nel 2000. Ma come spesso accade, le vere regine rimangono le 19 iniziali presentate a Londra nel 1960 e che spesso superano il milione di sterline durante le aste per auto da collezione e di lusso. Ma cosa rese così affascinante questa Aston Martin ???.… Sicuramente il lavoro dell’ Ing. Spada che osò stravolgere la DB4 riducendone i volumi rendendola più aereodinamica e leggera, complice anche l’ utilizzo del nobile alluminio utilizzato al posto del’acciaio di alcuni componenti. Il fattore “peso” per le auto da corsa è una la priorità e l’eliminazione dei paraurti e particolari in vetro, sostituito con “l’allora tecnologico” plexiglas hanno reso possibile una “dieta” pari a 45 Kg sul peso complessivo.

Alcuni telai individuati con “number 0191, 0193, 0182 e 0183”, vennero prodotti con modifiche evidenti nello chassis visto la destinazione alle gare. Dalla linea più bassa ai parafanghi più larghi questa versione race rendeva le DB ancora più esotica. E proprio il giorno di Pasqua del 1961 sul circuito di Goodwood  l’ ndimenticato Sir. Stirling Moss esordì con la DB4 GT Zagato giungendo terzo. “dietro ad una DB4 GT e una Ferrari 250-GT “vincitrice”. Per tutti gli anni “60 la DB4 GT Zagato partecipò alle corse per gran turismo, compreso la partecipazione alla mitica 24 ore di Le Mans del 1962.

Il modello in foto è stato prodotto nel 1961, ed è uno dei pochi esemplari che non ha mai subito un restauro. Un raro esemplare di Aston Martin DB4 Zagato che sfoggia uno splendido rosso “Peony” disteso sulle linee di alluminio nello stabilimento di Gaydon UK………………..

…………… E’ li che nascono le meraviglie di nome Aston Martin.

Bear”34

Foto da; Google.com

 

6:15………..

6:15…suona la sveglia, propio quella sveglia che per colpa sua ti ha fatto passare la notte in bianco, tra agitazione, paura e un insieme di emozioni difficili da descrivere.
Fai “colazione”, costituita da una (forse metà) fetta biscotta, dato che quella agitazione che ti ha tenuto compagnia tutta notte non accenna a lasciarti…
Ti infili nella tuta…quella tuta stretta che ora sembra stringere ancora di più lasciandoti senza fiato e facendo aumentare i battiti del tuo cuore.
Finisci di preparare l’occorrente per quella che è per te è una sfida che va ben oltre le tue possibilità.
Ti metti in sella, con quel clima rigido delle 6 di mattina che solo un posto unico come le Dolomiti riescono a regalarti. La prima pedalata è quella che ti fa realizzare che ormai non puoi più tirarti indietro…. il vento gelido ti penetra negli occhi che iniziano subito a lacrimarti, le gambe ancora addormentate iniziano a far scorrere il sangue al loro interno. Attraversando il paese ti senti come se fossi l’unico sopravvissuto dopo un apocalisse…..nessuno per strada, nessun rumore, nessun odore…è tutto fermo, come se fosse stato congelato. Tutto tranne te, che inizi con i primi ansimi che ti fanno spezzare il fiato mattutino.
Lasciando il paese desolato alle spalle, ti imbatti in un cartello, quel cartello che non ti aveva mai fatto tanta paura leggere come in quell’istante.
Annuncia….“Passo Sella”, bene ora sai che inizia la salita.
Parti subito mettendo un rapporto più “morbido” adeguato alla salita, ma ti accorgi che la variazione di pendenza è talmente repentina che un solo rapporto non ti basta…ok, metti il secondo e sembra già andare meglio.
Con la coda dell’occhio guardi nel pacco pignoni posteriore e noti che hai soltanto altri tre rapporti, il che vuol dire che non ci sono spazi per gli errori ma soprattutto non c’è spazio per cedere mentalmente, a qualsiasi costo.
Arrivi al primo tornante, che ti fa capire subito in quali condizioni arriverai (forse) a destinazione.
Da ora parte quella che sarà 1 ora e 15 minuti di pura fatica, con momenti di quasi cedimento fisico, soprattutto per le tue gambe che chiedono solamente di potersi fermare e riposare.
Provi a pensare ad altro mentre pedali, in modo da non sentire la stanchezza, ma…. è una cosa quasi impossibile dato che intorno a te c’è solo silenzio.
Gli unici rumori che senti sono i tuoi respiri e nient’altro, questo rende la cosa ancora più unica, perché ti senti a stretto contatto con l’immensità che è la montagna. Dentro di te senti che devi portarle rispetto, perché se lei vuole, può benissimo non farti arrivare in cima alla tua scalata.
Dopo km di fatica ti imbatti negli ultimi tornanti, li affronti con un misto di emozione, adrenalina, sfinimento e una felicità che a parole non si può descrivere…
3…2…1…sei arrivato in cima e non sai se ridere, metterti a piangere o semplicemente fermarti e ammirare lo spettacolo che hai di fronte agli occhi.
Credo non basti qualche parola scritta nel modo giusto per descrivere l’uragano di emozioni che ti regala una scalata del genere, ma ci provo.
Per quelli che invece l’hanno fatto…beh…sapete già tutto.
Ranger “98………….
 .
 .
 .
 .
Foto di; Roberto Longo

Da Radio-Bivacco “10

CICATRICI
Qualcuno ha scritto che “due ruote muovono l’anima”. Io dal canto mio non potrei vivere senza e spesso mi ritrovo a reinterpretare questa massima anche a pedali. Così, durante una calda pedalata estiva nel mio Salento, mi ritrovo a pensare a viaggi in terre lontane, sognare avventure estreme
alla scoperta di territori selvaggi, proprio come mi succedeva da bambino: potere delle due ruote! Sarà il caldo o l’allenamento scarso chissà…..ad un certo punto alzo lo sguardo e mi ritrovo nella savana africana. O almeno così sembra. La terra rosso intenso e le sterpaglie giallo ocra si alternano a pochi cespugli verde scuro. Pedalo perso nei miei pensieri in un’atmosfera surreale, in totale solitudine come non mi succedeva da tempo e mentre mi guardo attorno osservo i tantissimi alberi che mi circondano. Non sono Baobab come sembra, queste maestose piante davanti a me non sono i famosi alberi africani…ma ulivi!
Improvvisamente la ferita brucia. Avevo già visto gli uliveti del Salento distrutti dal batterio “Xylella”, ma questa volta il colpo è più duro. Non posso continuare, mi fermo, mi guardo intorno spaesato…immerso in questo paesaggio per me dolorosissimo che ha perso i suoi connotati. Gli
ulivi del Salento, quel mare verde-argento che caratterizzava l’entroterra peninsulare, non c’è più. E’ l’elaborazione di un lutto, una pedalata espiatoria. Proseguo tra questi fieri giganti vecchi di
secoli ormai secchi e sconfitti da un batterio per cui nessuno ha la cura, mi perdo in questo cimitero senza confini. Ogni albero è una cicatrice sulla terra rossa. La mia avventura continua, pedalata dopo pedalata, tra gli ulivi e in lontananza vedo un pastore col suo gregge. Mi avvicino e scambio due chiacchiere con lui mentre il suo cane bada alle pecore. L’uomo non è certamente un tipo loquace, c’era da aspettarselo, ma si illumina quando gli parlo degli ulivi. Mi spiega che c’è una specie di pianta, il “Leccino” che resiste al batterio e che in tanti hanno già iniziato a piantare nuovi alberi, nella speranza di ripopolare il territorio. Ci vorrà tempo e passione ma una speranza c’è! Quell’uomo mi ha dato un sollievo che non immagina, la naturalezza con cui mi ha detto che si sta ricominciando a coltivare nuove piante di ulivo mi ha ricordato da dove vengo: una terra protesa nel mare ma con radici forti e profonde, con un passato glorioso come i suoi ulivi che non ci sono più e un futuro da coltivare come gli ulivi nuovi. Sono fiducioso che i salentini sapranno farsi valere, nella loro storia hanno dato prova di grande generosità. Saluto e proseguo su questa pietraia…non è l’Assekrem ma mi ha fatto sognare e soffrire lo stesso, come ogni pedalata che si rispetti.
Buona strada, dovunque stiate andando.
Rad Sherpa
 .
 .
 .
Foto di; Rad Sherpa